Università Ca’ Foscari: Smart working durante la pandemia ha stressato donne e genitori

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Lo smart working durante il Covid ha aumentato i sintomi depressivi tra donne, genitori e single secondo lo studio di Ca’ Foscari e Padova

Durante la prima ondata del Covid-19, lavorare da casa ha consentito a molte persone di continuare le attività in sicurezza. Tuttavia, secondo una nuova ricerca, questa modalità ha avuto ricadute psicologiche rilevanti su specifici gruppi, in particolare donne, persone sole e genitori con figli conviventi.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Journal of the Economics of Ageing” da un gruppo di economisti dell’Università Ca’ Foscari Venezia, dell’Università di Padova e dell’IFO Institute di Monaco, e analizza gli effetti del lavoro da remoto sul benessere mentale degli over 50 nei primi mesi della pandemia. I ricercatori hanno utilizzato i dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (Share), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei.

Attraverso tecniche statistiche avanzate, è stato possibile isolare l’impatto del lavoro a distanza da altri elementi connessi all’emergenza sanitaria. «Grazie a questo approccio – spiega Marco Bertoni, professore di Economia a Padova – siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, considerando sia le caratteristiche personali sia la diversa intensità della pandemia e delle restrizioni territoriali».

Confrontando chi ha lavorato in presenza con chi ha operato da casa, la ricerca ha rilevato che lo smart working è associato a un aumento dei sintomi depressivi. Un effetto che, come evidenzia Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, «è risultato più forte nelle aree in cui il contagio era contenuto ma le misure restrittive erano particolarmente rigide. Il senso di isolamento, le preoccupazioni sul lavoro e le tensioni familiari possono aver inciso su questo disagio».

L’indagine ha evidenziato come l’impatto psicologico sia stato più marcato in alcune categorie: donne, persone single e genitori con figli conviventi hanno riportato livelli di stress e sintomi depressivi più alti rispetto ad altri gruppi.

Alla luce della diffusione del lavoro da remoto anche nel periodo post-pandemico, lo studio invita a rivedere le politiche aziendali. «Se il lavoro da casa continuerà a essere una prassi diffusa – concludono i ricercatori – è essenziale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo. Applicare regole identiche per tutti, senza considerare le condizioni personali e familiari, rischia di creare ulteriori squilibri».

La ricerca sottolinea quindi l’importanza di adottare soluzioni flessibili, capaci di tenere conto delle diverse realtà dei lavoratori per evitare effetti negativi sulla salute mentale.